Testimoni

Mario Agnes: “Voce attenta e vigile dell’attività del Papa”

Pubblichiamo l’articolo di Andrea Riccardi (dall’Osservatore del 8.5.19) ad un anno dalla morte.

Mario Agnes si è spento il 9 maggio 2018 nella sua casa in Vaticano dopo anni di malattia. I gravi problemi di salute non ne avevano spento la passione per la vita e la Chiesa: seguiva le notizie in televisione e sui quotidiani. Soprattutto era attento al Papa. È stato un “uomo del Papa” in senso profondo: non un frequentatore di circoli ecclesiastici o un tessitore di relazioni. Anzi era austero, timido, riservato. Aveva pochi amici, cui era molto fedele. Il legame con il Papa era maturato nella giovinezza cattolica ad Avellino, nella cui provincia era nato nel 1931. Nonostante fosse giovane, aveva avuto gli echi del conflitto tra il fascismo e l’Azione Cattolica di Pio XI. Soprattutto, Pio XII era stato il grande riferimento negli anni della guerra e nel turbinoso dopoguerra.

Era specialista di storia del cristianesimo antico, dopo aver studiato all’Università di Napoli sotto la guida del medievista cattolico Paolo Brezzi. La sua vita si era identificata con l’Azione Cattolica, come movimento di popolo: «L’Azione Cattolica — scriveva nel post-Concilio — ritiene così di manifestare la sua identità che è quella di essere un segno e uno strumento per la partecipazione del Popolo di Dio alla missione pastorale della Chiesa». L’Azione Cattolica — secondo Agnes — doveva farsi presente nei problemi della società, anche nelle implicazioni politiche, mossa da «motivazioni squisitamente evangeliche ed ecclesiali»: insomma una «mediazione culturale tra fede e vita, tra fede e storia». Agnes, quando parlava dell’Azione Cattolica, riviveva l’entusiasmo di una fede di popolo. Era un “cattolico italiano”, che sentiva la sua fede con due riferimenti semplici e fermi: il Papa e il popolo.

Presidente dell’Azione Cattolica diocesana ad Avellino, poi delegato regionale in Campania, ebbe responsabilità in un associazionismo che, dal Vaticano II, traeva impulso per una presenza “religiosa”, meno attivistica del passato, ma non per questo disimpegnata. Alla guida dell’Azione Cattolica dal 1973 al 1980, successe a Vittorio Bachelet, il presidente della “scelta religiosa”, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980. Fu un periodo duro e fecondo, quando il cattolicesimo italiano si lacerò per il referendum sul divorzio del 1974 e fu abitato da contestazioni e fermenti. Agnes ebbe la fiducia di Paolo VI, che lo vide come continuatore dell’opera di Bachelet. Dopo il referendum del 1974, Agnes espresse fedeltà a Paolo VI, che gli rispose: «I sentimenti, che essa mi esprimeva, mi hanno molto commosso e consolato, resi preziosi, come sono, dall’ufficio che Ella ora ricopre con tanto nobile e umile coraggio». Gli assicurò: «La mia stima e la mia fiducia».

Giovanni Paolo II lo chiamò a «L’Osservatore Romano», che diresse per più di vent’anni dal 1984 al 2007. Fu il direttore di Papa Wojtyła, e s’incamminò con lui per le vie del mondo. Si vide particolarmente la sua fedeltà al Papa, quando nel periodo della guerra del Golfo, sentì forte la responsabilità di amplificare e non mediare o silenziare il messaggio di pace di Giovanni Paolo II (un rischio che — a suo avviso — si correva in una parte del mondo cattolico). La pace era una preoccupazione prioritaria per l’Osservatore di Agnes. Dopo l’incontro interreligioso di Assisi nel 1986, il direttore scriveva: «Il dopo-Assisi non può risolversi in una pagina esaltante di storia da archiviare gelosamente, ma deve farsi storia vivente». Era quanto Wojtyła pensava sullo spirito di Assisi. Per il Papa, il giornale era la “’voce’ attenta e vigile dell’attività del Papa missionario per le strade del mondo” — così gli scrisse nel 2001. Agnes non è mai stato un uomo di palazzo: ha sentito con partecipazione la vita degli umili e si è aperto alle novità, fossero rappresentate dai più giovani o da nuovi percorsi di fede.

Il direttore concepiva il giornale come finestra sul mondo accanto a quella del Papa. Acta diurna, la rubrica che aveva resuscitato e su cui scriveva, manifesta questa prospettiva, in cui si vede «la naturalezza della sintonia» con il Papa — come scriveva lo storico Giorgio Rumi, suo maggiore editorialista. Agnes non ha interpretato la fedeltà come ossequio o ricerca di coperture. Ha avuto coraggio. Nel dicembre 1980, pubblicò i discorsi di monsignor Romero con l’editrice AVE (per anni fu un testo di riferimento unico), pur tra parecchie reticenze a Roma e in America Latina verso il vescovo martirizzato nel marzo 1980: «Far conoscere il vero mons. Romero ci è sembrato più di tutto un atto di giustizia» scrisse nella prefazione al volume.

Cattolico di popolo, uomo del Papa, Mario Agnes aveva fatto sua la preoccupazione di Paolo VI nella Populorum progressio: «Il mondo soffre per mancanza di pensiero». Il suo Osservatore fu un giornale di cronaca, anche minuta (e qui il suo senso popolare), d’informazione internazionale, ma anche di pensiero. Perché la Chiesa aveva bisogno di discussione, approfondimenti e pensieri per ripensarsi nella storia. Così, nel 1990, mi scriveva quest’espressione che mi ha sempre colpito: «La Chiesa è costretta a ripensarsi… È così! Qui è il segreto quotidiano dell’essere Chiesa secondo la volontà del Fondatore».