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Premessa

Continua la pubblicazione de Il Dono: capitolo I

Prima di ogni altro ragionamento, debbo “confessare” di essere stato un “democratico” convinto: promotore dell’Ulivo ed elettore del Partito Democratico, dalla sua nascita e fino alle elezioni regionali del 2015.

Ricordo che, quando l’Ulivo non era stato ancora concepito, mettemmo insieme un gruppo di persone provenienti da diverse esperienze partitiche e/o associative, tutti appassionati di Politica.  Ci chiamammo “Coalizione dei Democratici”, immaginando di poter offrire soluzioni innovative ad una guida amministrativa della comunità che aveva mostrato un’evidente inadeguatezza. Un’idea bella e vincente che trovò altre strade per una stagione di rinnovamento, ostacolata dalla classe dirigente allora dominante nel Partito Popolare.

Spinto da questa passione e da queste idee ho sempre partecipato alle “primarie” del PD: convinto, ogni volta, di concorrere alla scelta del meglio per il governo del Paese. In un’occasione, trovandomi fuori provincia per motivi familiari, feci i salti mortali per registrarmi in tempo per poter scegliere il leader del partito nel quale mi ero identificato.

Tuttavia, non ho mai pensato di iscrivermi al PD perché ho sempre creduto che gli iscritti facessero parte della struttura di potere del partito; che fossero espressione, cioè, delle correnti e dei piccoli o grandi personaggi che lo guidavano a livello locale e nazionale. Ciononostante, ogni volta che ho votato alle primarie, pur condizionato da questo pre-giudizio, ho sempre dato, con esattezza, i miei dati anagrafici, la mail ed il mio numero di telefono. Sperando che, chissà, quel partito, quei dirigenti avrebbero potuto, almeno una volta, invitarmi ad esprimere un giudizio, una valutazione o un voto su una delle tante decisioni che avrebbero dovuto adottare, a livello locale o nazionale poco importa.

Sono passati tanti anni, ma a nessuno, mai, (nemmeno al miglior segretario che il PD abbia avuto: Walter Veltroni) è venuta in mente l’idea di avere tra le mani una straordinaria ricchezza (i volti, i nomi, gli indirizzi mail ed i numeri di telefono di milioni di simpatizzanti: una “riserva” da utilizzare nei momenti più importanti, per arricchire il partito o per ri-vitalizzarlo con il contributo di persone innamorate, oneste e disinteressate).

Nessuno dei dirigenti del PD ha, mai, provato ad “aprire” il partito: nemmeno quando hanno visto che il numero degli iscritti calava, precipitosamente, anno dopo anno, in maniera direttamente proporzionale alla crescita del potere degli uomini di apparato che occupavano, quasi militarmente, le strutture dello Stato e degli Enti locali.

In tutti questi anni, ho vissuto due, diversi, momenti di speranza nel cambiamento.

Una prima volta, quando Barca scrisse e lanciò il suo “Manifesto” per un “partito nuovo per un buon governo”! Successivamente, quando Renzi si presentò sulla scena politica nazionale promettendo, non solo, la “rottamazione” della classe dirigente del PD, ma soprattutto dei vizi e delle devianze che avevano ispirato le scelte di quel partito.  

L’analisi di Fabrizio Barca mi convinse ed entusiasmò da subito! Purtroppo, essa nasceva con un vizio di origine: era “insopportabile” per la classe dirigente del PD. Diceva tante verità sulla “mala-politica” che dominava il Partito ed il Governo, nazionale e locale, ed immaginava troppe novità e troppi sacrifici per quei dirigenti politici che mai avrebbero potuto accettarli, con serenità, trasformandoli in un impegno finalizzato al cambiamento.

Si avviò, allora, una discussione sincera in molti circoli del PD ma fu utilizzata solo da chi cercava occasioni di rivincita in sede locale e non da chi, invece, fosse seriamente convinto della necessità di una rivoluzione di scelte, di uomini e di comportamenti idonea a migliorare la partecipazione, favorendo la crescita del Partito. L’idea di Barca, elogiata in tante occasioni, fu presto abbandonata, respinta, nei fatti, come pericolosa per l’assetto di potere e per la forza delle correnti e dei personaggi, vecchi e nuovi, che dominavano nel partito (i vecchi che non avevano alcuna intenzione di lasciare ed i giovani che, invece, erano solo pronti ad occupare le posizioni di potere per soddisfare, con qualche anticipo sui tempi programmati, le proprie ambizioni).

Il sogno di un partito nuovo per il buon governo del Paese fu rinchiuso in un cassetto, messo sotto chiave e quasi sigillato: per impedire che qualcuno potesse provare a trasformare quel partito in uno strumento efficace di partecipazione politica e soprattutto di mediazione tra interessi contrapposti creando le condizioni necessarie per il rinnovamento della classe dirigente in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale.   

In pratica, quell’analisi, intelligentemente concepita e ben scritta, non piacque a coloro che avrebbero dovuto, con un po’ di umiltà, riconoscere gli errori fatti.

Di questo sono stati responsabili i vari capi e “capetti” del partito, quelli che avevano pensato e voluto il “partito stato-centrico” messo sotto accusa da Barca: da un lato, la macchina dello Stato arcaica e, dall’altra, le “élite” che hanno governato, in perfetto accordo, capaci di sostenersi reciprocamente fino a produrre un equilibrio perfetto di sottosviluppo. La famosa “fratellanza siamese” (tra Stato e Politica) che Barca definì, con acuta visione, ilcatoblepismo (i partiti, il PD prima e più degli altri, anziché essere controllati dalle persone che ad essi aderivano o che li votavano, finivano per controllare sé stessi, esercitando un potere sullo Stato, e sugli altri Enti pubblici territoriali, che, a loro volta erano ad essi essenziali).

Quel Manifesto spiegò, perfettamente, perché i partiti avevano difficoltà ad aprirsi alla partecipazione ed al confronto ed anticipò, in buona sostanza, le ragioni che avrebbero, poi, portato i cittadini a penalizzarli oltre ogni ragionevole immaginazione.

In verità, una certa idea di rinnovamento apparve anche nella prima immagine che (l’allora “populista”) Renzi pensò di proporre al Paese ed ai democratici, agli elettori ed ai simpatizzanti prima che agli iscritti. Non a caso egli perse le sue “prime” primarie (novembre 2012), ancora dominate dai padroni delle tessere, mentre le vinse, qualche mese dopo (giugno 2013), convincendo ampie fette di opinione pubblica. Fu costretto, però, a firmare i primi, brutti, compromessi con i ras locali del partito, tranquillizzati sulle modalità e sui tempi della rottamazione che avrebbe toccato, solo pochi, invadenti, personaggi nazionali!

Purtroppo, il Renzismo si mostrò, presto, come un vero e proprio bluff: per l’eccesso di personalizzazione della politica, per l’abuso di spettacolarizzazione di alcune scelte, per la mancanza di umiltà e di confronto che qualificarono, in seguito e fino alla sconfitta, le scelte del sindaco di Firenze diventato leader del Partito.   

Parlare, oggi, degli errori di Renzi sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Quello che sopravvive di quel partito personale è talmente liquido ed evanescente da non lasciare spazio a dubbi ed incertezze.

Dopo la scelta del “Rosatellum” (ispirato da un evidente desiderio di “eutanasia politica”); dopo l’assenza di ogni analisi seria ed approfondita sulle cause di una sconfitta memorabile; dopo la dimostrazione di un’afasia dei cuori e delle intelligenze (ce ne sono, di ancora vive?) “questo” Partito Democratico appare destinato ad una rapida e naturale estinzione. Perché, (come, forse, avvenne per i dinosauri) l’”asteroide a 5Stelle” ha determinato le condizioni di uno sconvolgimento radicale del sistema politico! Nel nostro caso, poi, i democratici appaiono assolutamente incapaci di immaginare alcuna utile soluzione finalizzata ad una salvezza quasi impossibile, nella condizione di disastro politico, sociale e culturale creatosi.

Se, poi, a queste difficoltà si somma la crisi della Sinistra ovunque, nel mondo occidentale, il discorso si fa preoccupante. Perché potrebbero prevalere, presto, nuovi fascismi e nuove politiche reazionarie, ispirate dall’opportunità di soddisfare gli egoismi dei cittadini e dal desiderio di una guida “forte ed autorevole”. Insomma, potremmo ritrovarci in una condizione tale da ipotizzare di poter fare a meno della democrazia rappresentativa sino a subire la tentazione di poter limitare la libertà e la partecipazione politica dei cittadini.

Questi dubbi e queste preoccupazioni sono alla base di una domanda che mi pongo da tempo: c’è ancora il tempo e la possibilità di immaginare (e lavorare al-) la costruzione di un partito, nuovo e diverso, che sappia favorire la partecipazione dei cittadini; che sappia aiutarli a scegliere con la testa e con il cuore; che riesca ad offrire prospettive credibili alle aspirazioni ed ai sogni di buona politica che possano favorire la formazione e la crescita di una nuova classe dirigente al servizio della comunità?

Si tratta di una prospettiva difficile e complessa: ma nessuno mi può impedire di immaginarla. Servirà, come memoria, una rigorosa analisi degli errori commessi, ma potranno essere utili anche le esperienze di confronto che altri hanno messo in campo in questi ultimi tempi. Si tratta di un’idea che non posso abbandonare, per timore, per indolenza o per falsa modestia! Così come non posso non immaginare che la “passione politica”, quella vera ed onesta al servizio del bene di tutti, possa, nella discussione libera e sincera sul futuro della politica, trarre occasione per rinascere nel cuore di tanti giovani ai quali affidare una vera e definitiva rivoluzione politica e sociale, per salvare la democrazia nel nostro Paese.         

Per me, poi, è un sogno “obbligato”, che tuttavia faccio volentieri, dedicandolo a tutti quelli (parenti o amici) che si sono meravigliati delle mie ultime scelte elettorali (il voto al Movimento 5Stelle, già dalle regionali del 2015), fino a considerarmi un “eretico” se non addirittura uno stupido! Tante care persone che hanno provato a dimostrarmi che avevo fatto un errore grossolano, ragionando e motivando, però, con le stesse argomentazioni dei dirigenti del PD: “la colpa è del popolo…. che ha votato con la pancia e non con la testa …… che andrebbe educato prima di ogni elezione” sicché “non tutti dovrebbero essere ammessi al voto…. perché si sarebbero lasciati guidare dalle emozioni e non dall’intelligenza delle cose”!

A mio modesto avviso, si tratta di valutazioni e giudizi “reazionari, quasi fascisti”, fatti con un’inusitata superficialità; giustificati, solo, dalla preoccupazione seguita ai sorprendenti risultati elettorali che, solo in parte, hanno stupito anche me. Sono le argomentazioni dei “tifosi” incalliti e delusi: che avendo perso lo scudetto danno la colpa all’arbitro o alla sfortuna, senza il coraggio di una valutazione onesta degli errori evidenti dell’allenatore o dei giocatori scesi in campo. Purtroppo, prevalgono pensieri, motivazioni e sentimenti che non aiuteranno il PD (e la sinistra) a cambiare registro. Si tratta di ragionamenti alimentati, anche, dalla convinzione (probabilmente vera) delle altrui “incapacità ed inadeguatezze”, ma fondati su un insano giustificazionismo che, senza un’analisi sincera degli errori commessi, impediranno il nascere di ogni buona idea in merito alla prospettiva di “rifondazione” di un progetto politico idoneo a guidare il futuro del nostro Paese.