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Il discorso della montagna – Matteo 5-7

Esegesi biblica, Teologia, Mistica, Morale personale e sociale, Pastorale

Cosimo Roselli Sermone della Montagna

1 – Come ascoltare la Parola di Dio: A – con atteggiamento orante e adorante; la Parola di Dio non è un flatus vocis, come la nostra parola, ma è Dio che parla, per cui nell’ascolto si è alla presenza di Dio stesso. Cfr. Dei Verbum 2; B – Dio ci parla per farci conoscere il mysterion della sua volontà (Ef.1,9): ciò che Egli vuole per noi e vuole da noi. Il Mistero di Dio non è oscurità che si nasconde, ma è luce che sfolgora e illumina il tutto di Dio, del cosmo, dell’uomo, della storia: “Io sono la luce del mondo” (Gv.8,12). Il Mistero, però, resta sempre tale: esso ci incalza e ci afferra, pure ci supera e va oltre: è la logica della trascendenza nell’immanenza; C – La Parola del mysterion ci interpella e chiede l’assenso della nostra parola. Ma la parola della ragione resta muta: “comprehendit esse incomprehensibile” (s.Anselmo di Canterbury, Monologion 64). Solo la parola della fede è capace di rispondere alla Parola del Mistero, ma la fede non fa a meno della ragione: “credere est cum assensione cogitare”(s.Agostino e s.Tommaso). Essa investe il tutto dell’uomo e delle sue facoltà, a cominciare dall’intelletto: credo ut intellegam et intellego ut credam (s.Giovanni Paolo II: Fides et Ratio): una fede senza ragione (fede fiduciale e fede sentimentale) è una fede passiva e instabile; D –  La Parola del Mistero ci supera quando ci afferra e ottiene il sì della nostra parola di fede, perché essa spazia nell’Infinito di Dio e in esso ci invita a navigare: la fede vera non si arresta mai, è una fede che si misura con l’Incommensurabile. Chi rinuncia a camminare e progredire nella conoscenza del Mistero immelma la sua fede in uno stagno soffocante; E – La Parola di Dio, che è Dio, non si limita a rivelare il mysterion, perché sia conosciuto dalla fede e dalla ragione illuminata dalla fede, ma vuole comunicarsi all’uomo nell’uomo: è l’inabitazione trinitaria nel profondo dell’anima credente. Ecco la mistica, cioè l’esperienza di Dio: “Non io vivo, ma Cristo vive in me” (Gal. 2,20). Conoscenza ed esperienza di Dio sono indissolubili: questa è la cifra della vera fede, la fede viva, compiuta, dinamica; F – Fin dagli inizi del Cristianesimo (docetismo, gnosticismo), la Parola di Dio sull’uomo deve fare i conti con la sua contraffazione e contraddizione: la parola dell’uomo su Dio, fatta passare per parola di Dio. Non c’è eresia che non pretenda di fondarsi sulla Bibbia, oggi più di ieri. Ecco perché la vera fede comporta una sua dimensione ineliminabile: la difesa della retta fede, come impegno ineludibile del vero cristiano.

2 – Il Discorso della montagna: A –  E’ la Carta costituzionale che identifica l’essere e l’agire del cristiano. In s.Luca è riportato in parallelo con s.Matteo, ma con una minore estensione e diverse differenze. La prima è la sua collocazione: per s.Matteo, Gesù lo pronuncia eis to oros-su un monte; per s.Luca in loco campestri-in un luogo pianeggiante. Nei Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca) le somiglianze non sono più delle dissomiglianze, per cui diviene impossibile delineare una storia di Gesù precisa in termini storiografici. E questo perché gli evangelisti non intendono fare una biografia di Gesù. Essi non sono dei critici storici, ma dei Pastori di anime, chiamati in comunità già costituite, ad evangelizzare, a diffondere il Vangelo per suscitare e confermare la loro fede. Vangelo-euaggelion significa appunto buona notizia. Le prime parole che Gesù pronuncia in s.Marco sono queste: “Il tempo è compiuto ed è vicino il regno di Dio-basileia tou Theou; convertitevi e credete al vangelo” (1,15). La buona notizia è la salvezza (il regno di Dio): prima che un testo scritto, Vangelo è un annunzio, fatto da Gesù e testimoniato dalle sue parole-logoi e dai fatti della sua vita (mysteria Christi); ancor di più è lo stesso Cristo salvatore: Egli è il regno di Dio, autobasileia come ben dice Origene. B – Ora, ogni evangelista si differenzia perché evangelizza in comunità ecclesiali diverse per provenienza e composizione e ad esse deve “adattare” lo stesso e unico Vangelo che è Gesù Cristo. L’ “adattamento” è una legge fondamentale della predicazione, della catechesi, della proposta pastorale di ogni tempo. La comunità di riferimento di s.Matteo è quella giudeo-cristiana. Lo dimostra il suo vocabolario (semitismi), l’uso dell’Antico Testamento ( ben 21 vaticini e 70 citazioni), il richiamo di usi e costumi ebraici. L’uditorio di s.Matteo è l’erede della grande tradizione religiosa di Israele, della sua cultura e della sua rigida moralità. E’ su questo sfondo familiare ad una comunità palestinese che s.Matteo presenta Gesù e la sua cristologia davidica, la sua discendenza dagli antichi patriarchi come il Messia atteso che realizza la salvezza e perfeziona la Legge, cioè il centro vitale della religione, della spiritualità, della morale ebraiche. Allora, la montagna di s.Matteo richiama il monte Sinai, ove Mosè ricevette la Legge da Dio stesso: Gesù è, ora, il nuovo legislatore che viene non per abolire l’antica legge, ma per darle compimento. In tale contesto, la montagna, ove Gesù pronuncia il celebre Discorso, non è un luogo geografico, ma un luogo teologico che risponde ad una precisa intenzione teologica di s.Matteo. Gli evangelisti non sono semplici predicatori e catecheti, ma anche e prima di tutto dei teologi e i loro Vangeli sono libri di teologia, cioè di intellezione della fede, di approfondimenti tesi ad arricchire la comprensione della fede.

3 – “Beati i poveri in spirito perché è di essi il regno dei cieli” – Il Discorso della montagna esordisce con le famose Beatitudini, veri e propri fondamenti biblici, teologici e mistici di un’esistenza cristiana santa e missionaria. Da esse non si può assolutamente prescindere. Partiamo dalla prima beatitudine: A Beatimakarioi in greco da cui deriva il “macarismo”, un genere letterario della Bibbia. I generi letterari sono le tante forme con cui si esprimono gli scrittori biblici, ognuna con proprie caratteristiche: ad esempio, in s.Matteo, la genealogia, con cui si apre il Vangelo, la parabola, la disputa, il vaticinio profetico, il racconto dei miracoli, la storia della passione. Il macarismo è una forma di insegnamento, già in uso dai salmisti e dai sapienti dell’Antico Testamento, che pone in risalto la beatitudine e la promessa di felicità: è una forma di incoraggiamento, di consolazione, di speranza. Il termine ebraico asre –beato, usato al plurale, indica “tutta la felicità”, la “felicità al sommo grado”: i beati attingono alla più grande felicità possibile. Non poteva esserci un’apertura del Discorso più bella e letificante: il Vangelo, e solo il Vangelo che è il Cristo, dona la suprema gioia. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù…Essi sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”(Papa Francesco,Evangelii Gaudium 1). Tale beatitudine non è solo futura, in chiave escatologica, ma è già fin d’ora presente, pur tra i travagli e le sofferenze di un mondo che passa. B – I poveri in spirito: oi ptochoi to pneumati.Qui troviamo altre differenze con s.Luca che parla di “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (6,20). Sembra che s.Luca si rivolga ad una comunità, in cui è presente una maggioranza di poveri materiali: ad essi si rivolge per sostenerli moralmente in vista del regno di Dio. Diversa è l’ottica di s.Matteo: egli sposta l’attenzione dai poveri sociali ai poveri spirituali. Lo conferma la costruzione grammaticale, composta da un aggettivo (povero) e da un sostantivo al dativo (in spirito), come dire che l’essere povero risiede nello spirito, sia cioè una qualità spirituale. La povertà diviene un atteggiamento interiore: è lo spirito dell’uomo (di ogni uomo a prescindere dalla sua condizione sociale) che è chiamato ad impoverirsi. Impoverirsi di che? Di tutto quanto ostacola l’accoglienza del regno dei cieli, del Vangelo, nel profondo dell’anima, di tutto quanto ostacola il primato essenziale della presenza di Dio nella sua vita. La radicalità del Vangelo non ammette che si ponga sullo stesso piano Dio e l’uomo, tanto meno che Dio venga dopo. Gesù è chiaro: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (10,37). Le parabole del tesoro nascosto e della perla non lasciano dubbi: “Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo; poi va pieno di gioia e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (13,44). Ecco la povertà: vendere tutto quanto ingombra la venuta di Dio nella nostra casa. In primis, l’egoismo e l’individualismo, che mi isolano in me stesso, lontano da Dio e dagli altri. E ancora quella tentazione di affidarsi esclusivamente alle risorse umane proprie e altrui per risolvere ogni problema, e poi quel rincorrere i primi posti (nel regno solo gli ultimi saranno i primi), quel farsi grandi (…se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” – 18,3). Chiediamoci: nella nostra giornata, piena di affanni e problemi e tante cose superflue, quando ci ricordiamo di Dio? S.Paolo, che invita “Sine intermissione orate” (I Ts. 5,17), non ci chiama alla vera povertà che è la più grande ricchezza? Il regno dei cieli prima di ogni cosa: “Cercate  prima il regno e la sua giustizia: tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” (6,33). C di essi è il regno dei cieli: s. Matteo è l’unico, tra i sinottici, che usa questa espressione, gli altri adottano: il regno di Dio. Perché? Perché egli evangelizza tra i giudeo-cristiani e i giudei non pronunciavano mai il nome di Dio. Tutto questo Vangelo e in particolare i Discorsi di Gesù si basano su questo annuncio fondamentale: in mezzo a noi è venuto il regno, cioè la salvezza ultima e definitiva di tutta l’umanità, la salvezza che Cristo, il Messia atteso, ha realizzato con tutti i misteri della sua vita, segnatamente quelli della sua morte-risurrezione-ascensione. Il Vangelo di Matteo si distingue proprio per l’interesse all’insegnamento di Gesù. I cinque Discorsi, che egli propone, riguardano tutti il regno. Il primo (Discorso della montagna, capp.5-7) è l’annuncio del regno; il secondo (Discorso missionario, cap.10)  riguarda la diffusione del regno nel mondo; il terzo (Discorso delle parabole, cap.13) concerne la crescita del regno; il quarto (Discorso ecclesiastico, cap.18) parla della vita dei membri del regno; il quinto (Discorso escatologico, capp.24-25) profetizza la venuta del regno finale.