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Il Tradimento dei valori della Sinistra e del Cattolicesimo popolare

Continua la pubblicazione de Il Dono: capitolo III
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La parte politica che proveniva dal PCI (poi PDS, DS e quindi Ulivo) confluita nel Partito Democratico è stata, a mio modesto avviso, quella che più di tutte le altre componenti ha determinato l’esito negativo che il partito ha registrato alle ultime elezioni politiche.

Con questo non voglio sminuire le responsabilità (e sono tante) della parte post-democristiana del PD. Costoro, però, hanno continuato a comportarsi, nell’organizzazione del consenso (clientele e favoritismi) e nella gestione del potere, come erano abituati a fare prima del 1994. Molti dirigenti della vecchia DC, infatti, avevano trasferito armi e bagagli prima nell’Ulivo e poi nel nuovo partito. Quali fossero le armi (i pacchetti di tessere) ed i bagagli (la conoscenza dell’apparato di potere nel cui esercizio erano “maestri”) fu subito chiaro! Tutto ciò fu messo a disposizione dei nuovi alleati che impararono presto ad usarli con migliore destrezza, in qualche caso anche con più efficacia, aiutati dalla forza del voto che, in alcuni territori, aveva conservato un suo radicamento.

Però, quello che è avvenuto in questi anni, in termini di “trasformazione” della presenza politica ha dello straordinario e dell’incredibile e possiamo capirlo subito se proviamo a comparare le scelte ed i valori promossi dal Partito Democratico rispetto ai programmi, alle idee, ai principi ed alle consuetudini del vecchio Partito Comunista.

Due aspetti significativi possono bastare a valutare la misura del tradimento di quei valori: 1) la questione morale e 2) la scelta e la difesa dei deboli, dei poveri e degli emarginati

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano”.

Con queste parole, Enrico Berlinguer aveva denunciato, in un’intervista a Repubblica del 1981, i mali della politica italiana ed aveva anticipato, in qualche modo, quello che sarebbe successo alcuni anni dopo con la cancellazione, per mano giudiziaria, di tutta una classe dirigente.

Nella stessa intervista, il leader del PCI descriveva i mali della politica italiana con concetti chiari ed inequivocabili: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”

Questi giudizi, se si leggessero, oggi, su un qualsiasi giornale, coinciderebbero con le valutazioni di uno dei tanti giovani dirigenti del PD, deluso dalle scelte politiche di tutta intera la classe dirigente del suo partito (quella, cioè, che l’ha portato alla disfatta).

Quali dei valori espressi da Berlinguer in quella intervista, sono sopravvissuti, perché “incarnati” dai dirigenti del PD formati nelle fila del vecchio PCI, è veramente difficile scoprirlo. Forse, qualcuno può raccontare di uomini e donne del PD che “non” hanno perseguito l’occupazione dello Stato o delle altre Istituzioni locali, con le loro correnti e le loro guerre per bande? Qualcuno può negare che il PD si sia espresso al meglio, come macchina di potere e di clientela, qualificandosi per la scarsa conoscenza dei problemi della società e della gente, per la gestione degli interessi più disparati e contraddittori, senza rapporto con le esigenze ed i bisogni della comunità?

Se questi dirigenti del PD avessero almeno “letto” Berlinguer (i suoi giudizi e le sue valutazioni) probabilmente non avrebbero commesso gli errori ed i tradimenti che l’elettorato ha voluto punire con il voto del 4 marzo.

La loro sfrontatezza è stata assoluta e determinata: hanno, scientemente, “violentato” la cultura, la passione, l’amore per la buona politica della loro base elettorale; hanno tradito uomini e donne che, prima, affidavano, ciecamente, alla loro responsabilità la guida delle comunità e li ritenevano i più idonei a guidare le sorti del Paese.

Oggi, si lamentano se gli iscritti sono ridotti a poche migliaia; se i giovani non vogliono sentirne parlare; se le loro riunioni sembrano sempre più spesso adunanze di reduci che assemblee vive e partecipate, alla ricerca delle soluzioni per rilanciare il partito.

Hanno tradito non solo Berlinguer ma tutta la storia della sinistra italiana, quella che il vecchio leader del PCI, sempre nella stessa intervista, definiva come la “diversità” del suo partito con queste parole:

” …noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato… e ciò possono farlo non occupando …. sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani? Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino alla cosa pubblica debba essere assicurata”.

Ecco, la domanda che Berlinguer faceva al suo interlocutore andrebbe rivolta a quei dirigenti che hanno costruito un partito che, dopo mani pulite, ha perseguito, nei fatti, un unico obiettivo, l’occupazione dello Stato finalizzato alla gestione del potere, trascurando ogni lotta ai privilegie dimenticando non solo il merito e la professionalità ma soprattutto i poveri, gli emarginati e gli svantaggiati della società. Mi chiedo: l’hanno fatto perché credevano che quella loro diversità (rispetto all’antagonista del momento: Berlusconi o la destra post-fascista) avrebbe potuto incutere paura nella gente e nella pubblica opinione, fino a determinarne la sconfitta? O, invece, erano essi stessi ad essere convinti che la loro “origine” comunista li potesse condannare a restare eternamente fuori dalla stanza dei bottoni, solo perché quelli che contavano, in Italia e in Europa, avevano paura delle scelte di sinistra che avrebbero potuto adottare in difesa del bene comune?

Certamente, fattori diversi hanno concorso ad una trasformazione radicale di quel partito, rispetto alle intenzioni, alle speranze ed alla volontà di tanti democratici che, sin dalla prima ora, riposero la loro fiducia nella novità della proposta politica.

Sta di fatto che i risultati sono stati sconvolgenti ed inimmaginabili.

Quella sinistra, da forza politica nata in rappresentanza delle classi deboli e povere della comunità, ha trasformato la propria natura, i propri valori ed i propri programmi, senza nemmeno rendersene conto, potremmo dire per inerzia culturale e comportamentale.

Proviamo ad esemplificare: le cooperative di consumo, nate per permettere alle classi meno abbienti di poter accedere al commercio di beni primari, ottenendo prezzi più bassi ed alla loro portata, si sono trasformate in centri di potere economico e finanziario, fino a mettersi in concorrenza con gruppi commerciali economicamente più forti.

Ed ancora: le cooperative edilizie, costituite per permettere ai lavoratori l’accesso alla proprietà di un bene primario quale la casa di abitazione, con l’aiuto dello Stato, pure queste sono, in parte, diventate Società di costruzione di rilevanza nazionale ed internazionale. Sono cresciute (sono diventate ricche e competitive) grazie agli appalti “favoriti” dalla classe politica ed i loro dirigenti si sono confusi nella nomenklatura partitica dalla quale essi stessi provenivano.

E che dire delle banche e delle assicurazioni!?! Senza fare nomi, le vicende di questi ultimi anni sono sotto gli occhi di tutti: dai tempi della famosa frase di Fassino “allora, abbiamo una banca?”, ai salvataggi delle banche guidate e gestite dalla politica locale. Per non parlare della forte espansione della più antica compagnia di assicurazione, nata e cresciuta grazie alla sinistra ed ai sindacati, che oggi è stabilmente inserita nel salotto buono della finanza italiana!

Non si tratta di pettegolezzi, di fake news o di false interpretazioni!

Con questi presupposti è successo l’inverosimile e l’inatteso: il partito dei lavoratori è diventato il partito delle banche e la forza politica che avrebbe dovuto difendere i deboli e gli emarginati si è occupata di rappresentare e difendere gli interessi della finanza e della grande imprenditoria, industriale e commerciale!

E, se mai questo giudizio, così netto e perentorio, non fosse vero in maniera assoluta (come è probabile che sia), il problema vero, per il Partito Democratico, è che questo quadro è apparso verosimile agli occhi della pubblica opinione: a quei cittadini che si sono sentiti trascurati e traditi dalle scelte politiche che hanno privilegiato la finanza e non i poveri, che hanno curato gli interessi degli imprenditori e non dei lavoratori, sacrificando il merito a vantaggio dei privilegi e dei favoritismi.

La crisi economica internazionale ha fatto il resto: sicché i governi del PD che si sono succeduti a Monti (pure appoggiato dai democratici) hanno declinato provvedimenti e riforme tutte volte a rassicurare il capitalismo internazionale e mondiale, soffocando la crescita del Paese,  riducendo alla fame milioni di cittadini e costringendo la classe media a sacrifici insopportabili (ancor più se rapportati all’accrescersi dei privilegi e dei cattivi costumi di quegli stessi politici che predicavano l’austerità per gli altri mentre loro continuavano a sprecare risorse nella cura delle clientele personali e familiari).

Così, in parte, si spiega la risposta negativa dell’elettorato, così si può capire come mai il miglior ministro del governo Gentiloni (mi riferisco al Ministro degli Interni, Minniti), candidato in un collegio “sicuro” in una regione rossa (le Marche) sia stato sonoramente sconfitto da una candidata 5Stelle nemmeno tanto nota e preparata!

Fingere di ignorare certi risultati e le cause che li hanno determinati, limitandosi a gridare allo spauracchio del fascismo e del razzismo prossimo venturo, non aiuterà il PD a cambiare il voto degli italiani, se a farlo, saranno gli stessi dirigenti che hanno causato il disastro.

Non credo che, da soli, riusciranno a rendersene conto. Anche perché molta della stampa nazionale non li sta aiutando a capire gli errori ed a cambiare radicalmente registro. Ed anche perché tanti simpatizzanti della Sinistra si comportano come quel soldato giapponese che, finita la guerra, continuava a combattere nella foresta cambogiana, perché rifiutava di arrendersi all’evidenza, accettando la sconfitta e mettendosi al lavoro con determinazione per ricostruire il suo Paese con la stessa intensità e volontà che avevano contrassegnato il suo compito di combattente, onesto e leale al servizio della sua unica Patria!

Per completezza, c’è solo da aggiungere che non minori responsabilità, quanto ai tradimenti, debbono porsi a carico della dirigenza del PD di estrazione cattolico-democratica.

Infatti, se è vero che l’Episcopato italiano (da Ruini in poi) aveva sancito il cosiddetto pluralismo della presenza dei cattolici in politica (giustificando, addirittura, l’appoggio alla destra di alcuni esponenti e movimenti di estrazione cattolica) è altrettanto vero che proprio la cosiddetta sinistra cattolico-democratica ha abdicato al ruolo di rappresentanza, di coinvolgimento e crescita culturale di quella parte del mondo cattolico che trovava nell’impegno socio-politico il suo naturale sbocco.

Sicché, da un lato, alcuni movimenti  cattolici “barattarono” il proprio appoggio alla destra in cambio di favori personali (la promozione a cariche istituzionali dei loro esponenti: i fiori all’occhiello di una classe politica impresentabile) o di gruppo e, dall’altro, si interruppe quel canale di comunicazione tra i movimenti di volontariato e di impegno sociale di matrice cattolica con la dirigenza politica che, nel passato, aveva permesso non solo di costruire una classe dirigente preparata ed affidabile ma aveva aiutato la Politica a perseguire quei valori che trovavano il loro fondamento nella Dottrina Sociale Cristiana.

Perciò, quella classe politica non è stata più capace di scovare al suo interno i Dossetti, i De Gasperi, i La Pira, i Moro, i Fanfani, i Sullo e gli altri uomini politici che avevano dato lustro alla vecchia Democrazia Cristiana ed erano stati, nel tempo, validi testimoni del Cattolicesimo Democratico. Alla fine, tutti quelli che avevano millantato una continuità con quella classe politica e con i valori da essa rappresentata sono stati “scoperti e sbugiardati” dalle scelte fatte e dal diretto coinvolgimento nella mala-politica che ha segnato la fine della presenza dei cattolici nella politica italiana. Ciò è comprovato dal fatto, vero, che anche l’elettorato cattolico, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, ha preferito altre opzioni al momento del voto, bocciando sonoramente le decisioni politiche ed i comportamenti della classe dirigente del PD dalla quale era stata delusa!