La beatitudine degli afflitti
Il discorso della montagna – secondo incontro
1 – Dopo la beatitudine dei poveri in spirito, il testo della CEI numera la beatitudine degli afflitti (nel testo latino e in alcuni documenti greci la seconda beatitudine è quella dei miti): “Beati gli afflitti perché saranno consolati” (Mt.5,4). Come nella precedente beatitudine, anche in questa si nota la medesima costruzione letteraria. Essa è costituita da due parti: la prima è un macarismo (beati) seguita da una categoria di persone (afflitti); la seconda, introdotta da un perché, è la giustificazione o motivazione della beatitudine, cui si collegano una promessa e una ricompensa presenti o future.
2 – Chi sono gli afflitti ? – L’ A.T. , fedele al discorso ebraico che non procede per concetti astratti (come avviene nella nostra cultura occidentale), bensì per immagini concrete, non possiede un vocabolo che si riferisca al sentimento dell’afflizione o di sofferenza in quanto tale, ma molteplici termini che indicano le manifestazioni esteriori che distinguono le tante forme di dolore: hibh el allude ai sintomi del parto; hil ai tremiti di un corpo sofferente; ebhel al lutto; mispedh ai lamenti di un afflitto; mar al senso di tristezza, conseguente al dolore fisico e spirituale. L’Apocalisse di s.Giovanni così sintetizza l’afflizione: “Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (21,4). Dunque, ogni causa di dolore è ricompresa nell’afflizione (malattie fisiche, morte di congiunti, inimicizie e tradimenti, persecuzioni e ingiustizie, solitudine e abbandono, infelicità di parenti, povertà materiale, ecc.). Dunque, chi è afflitto, in ogni modo, è beato: è un paradosso che appare radicalmente contrario all’esperienza comune. E, ancor più, è in contrasto con l’agire di Gesù che si oppone alla sofferenza. Non è Gesù il Cristo che adempie la profezia di Isaia: “Lo Spirito del Signore…mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà i prigionieri” (Lc.4,18) ? Non è Gesù il Cristo che opera guarigioni di ogni tipo fisico e morale ? Non è Gesù il Cristo che fa risorgere la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain, l’amico Lazzaro ? Non è Gesù il Cristo che supplica il Padre di allontanargli il calice della passione ? Come si spiega tale incredibile paradosso ? Eppure, l’evangelo è chiaro: beati (sono) gli afflitti, i piangenti – makarioi oi penthountes
3 – Perché gli afflitti sono fin d’ora beati ? – Prestiamo bene attenzione: l’evangelo non afferma che gli afflitti saranno beati, ma che essi saranno consolati: la beatitudine è presente, la consolazione è futura. Per capire, bisogna guardare l’elenco delle nove beatitudini: il suo ordine principia con quella della dei poveri in spirito. Il primato di tale beatitudine non è casuale, ma fondamentale, nel senso che tutte le beatitudini si basano su quella della povertà in spirito: questa è la condizione sine qua non di ogni altra beatitudine. Gli afflitti, allora, sono beati non solo e non tanto perché piangono, ma perché sono poveri in spirito. Ricordiamo che tale povertà esige l’accettazione del Vangelo, l’amore di Cristo e per Cristo prima di tutto, l’essere mistico con Lui (Chi non è con me, è contro di me. Lc.11,23), nel linguaggio di s.Matteo, l’accoglienza del Regno di Dio. Per i poveri in spirito il Regno è già presente, è già in opera: per questo essi sono beati fin d’ora. E’ questa beatitudine fondamentale che rende beati gli afflitti, non l’afflizione in quanto tale. Senza la povertà in spirito, la sofferenza, anche del povero materiale, resta quello che intrinsecamente è: una disperazione, una disgrazia, una dannazione.
4 – Gli afflitti saranno consolati – Quel “saranno” apre la prospettiva finale escatologica, verso cui il mysterion di Dio, cioè la sua volontà d’amore e il suo piano di salvezza, indirizza tutta la storia dell’uomo e del creato. Ma tale escatologia del Regno di Dio, se si compie nella sua definitività eterna (“non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”), è già in azione in questo tempo che volge verso la fine. Il Regno è già “arrivato sulla terra”, esso “si manifesta nella stessa persona di Cristo”, di esso la Chiesa “costituisce in terra il germe e l’inizio” (Cfr. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium 5). Dunque, gli afflitti (e siamo tutti noi) sono beati in quanto essi già sono entrati in questo Regno iniziale, in virtù della loro povertà in spirito che è appunto il biglietto d’ingresso nel Regno, presente in mistero. E in quanto beati, essi già godono di una presente felicità, garantita dalla loro fede in Dio-Trinità e dalla loro esperienza mistica di carità dello stare “con Cristo”, animata dalla speranza certa della consolazione perfetta: fede, speranza e carità, infuse dalla grazia, germinate e arricchite nella Convocazione ecclesiale dello Spirito.
5 – Beatitudine e consolazione – Nella prospettiva dell’escatologia del “già” ma “non ancora”, beatitudine e consolazione sono realtà correlative, nel senso che l’una non sta senza l’altra: la beatitudine apre alla consolazione; la consolazione compie la beatitudine. Sono realtà in una tensione dinamica incessante: la beatitudine attinge il suo dinamismo dalla speranza, sorretta dalla fede e vivificata dalla carità, di raggiungere la consolazione perfetta; la consolazione, a sua volta, non solo attrae la beatitudine come suo compimento finale, ma la informa progressivamente e gradualmente nel suo avanzare. Ma qual è il principio che muove la beatitudine verso la consolazione e spinge la consolazione a calamitare e ad intridere la beatitudine ? La mistica della sequela di Cristo.
6 – La sequela di Cristo – Abbiamo detto che la fede è conoscenza ed esperienza. I santi sono profondi conoscitori dell’Evangelo e, nel contempo, lo vivono e lo testimoniano in un’identificazione mistica con Cristo che li rende ciascuno alter Christus, sino addirittura all’ipse Christus.La chiamata di Gesù, ieri come oggi, per ciascuno di noi, si esprime con queste parole: “Vieni e seguimi” (Mc.10,21); “Seguitemi” (Mt.4,19). La sequela di Cristo, senza cui il cristiano diviene un paralitico, è tesa a conformare la nostra vita sulla sua vita terrena divino-umana e quindi a rivivere tutti i misteri di questa vita che tutti assumono un valore e un potere salvifico. L’ imitazione di Cristo non è la copia di un modello esteriore, bensì l’integrazione di sé nella Persona vivente di Cristo che, per lo Spirito, con lo Spirito e il Padre, viene nella nostra interiorità per dimorarvi. Ecco la vita mistica. Questa presenza interiore di Dio, frutto della povertà in spirito, comporta un nostro essere con Cristo estremamente dinamizzato dal “Vieni e seguimi”. San Paolo, in particolare, è il teologo del syn, della vita con Cristo. Noi “siamo morti syn Christo-con Cristo” (Rom.6,8); “consepolti con lui nel battesimo” (Col.2,12); con lui Dio “ci ha conresuscitati” (Ef.2,6). L’essere con Cristo, allora, alla sua sequela, ci porta a salire sulla Croce con lui, a partecipare alle afflizioni di questo Uomo dei dolori “che ben conosce il patire, uno davanti al quale ci si copre la faccia” come profetizza il Deutero-Isaia nel quarto canto del Servo di Dio (53,3). Ecco il grande segno di contraddizione che non facilita la fede, ma la tenta sino allo scandalo e al gelarsi della carità (cfr.Mt.24,10-12), sino all’inquietante interrogativo di Gesù: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra ?” (Lc.18,8).
7 – La potenza salvifica dell’afflizione – Sempre il Deutero-Isaia rivela: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori…trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità”(53,4-5). E’il mysterion di Dio: “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (53,6). Con l’iniquità di noi tutti, è entrata nel mondo la morte: “la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Rom.5,12). Dall’abisso di morte e di afflizione, in cui siamo precipitati, nessuno ha il potere e la forza di risalire per salvarsi. L’autosufficienza salvifica di tanta cultura moderna è un’illusione, un’insensatezza, una bestemmia. Solo l’unico Innocente, l’unico Giusto, a immagine del quale siamo stati creati, il Figlio di Dio, che è Dio, incarnandosi può scendere in questo abisso e caricarsi della nostra morte nella sua morte, della nostra sofferenza nella sua sofferenza, così che con la sua risurrezione Egli può risalire dall’abisso di morte e di sofferenza e noi con Lui. L’afflizione dell’Incarnato è la via maestra della nostra salvezza.
8 – La mistica della sofferenza – Se il Figlio di Dio ci ha incontrato nell’unico luogo o stato in cui eravamo, quello della sofferenza e della morte, per prendere su di Sé la nostra croce, allora non c’è altra via di salvazione per noi che incontrare il Figlio di Dio incarnato nell’unico luogo o stato in cui ci ha liberato, la sua sofferenza e la sua morte, prendendo su di noi la sua Croce. Se ogni nostra croce è una maledizione, la sua Croce è una benedizione, perché essa è il principio di una vita nuova, la vita risorta, la vita che vince la morte: “O morte sarò la tua morte” come canta la liturgia della Veglia pasquale. Non esiste alternativa al salire sulla Croce di Cristo, ove sono inchiodate tutte le nostre croci, per risorgere misticamente ogni mattina di Pasqua della Chiesa sino alla risurrezione finale della carne nella Pasqua del Regno di Dio. In questa ottica profondamente cristiana, l’afflizione non è disgrazia, ma grazia: ecco spiegato il paradosso: Beati gli afflitti.
9 – I gradi della beatitudine degli afflitti – In una considerazione mistica di tale beatitudine, è possibile delineare una sua gradazione crescente: 1 – Compimento dei doveri, anche quando sono afflittivi; 2 – Accettazione rassegnata della sofferenza; 3 – Mortificazione volontaria; 4 – Amore per la sofferenza: “O morire o patire” (s.Teresa d’Avila), per ben morire ecco il patire così che il ben morire porti a vedere Dio; 5 – Offerta di sé come vittima di espiazione per i peccati del mondo.