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Le cause immediate della sconfitta

Continua la pubblicazione de Il Dono: capitolo IV
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Se queste possono essere state alcune delle cause remote della grave sconfitta della sinistra italiana e della vittoria del Movimento 5Stelle, prima, e della Lega salviniana dopo, la responsabilità più grande della sconfitta va attribuita a quei dirigenti del PD che hanno “concorso”, ognuno nel suo ruolo, istituzionale o politico, alla gestione del partito negli ultimi anni, influenzandone le scelte: mi riferisco ai vari Bersani, D’Alema, Renzi, Fassino, Napolitano, Gentiloni, Letta… etc etc (insomma tutta la classe dirigente del PD, prima e dopo la scissione)!

La prima e più grave incapacità politica è stata quella di non essersi accorti dello scollamento tra il PD e la pubblica opinione e, insieme, di aver sottovalutato la capacità del Movimento 5Stelle di rappresentare i bisogni dei cittadini.

Che il PD attraversasse una crisi seria erano i numeri a dirlo: gli iscritti che erano precipitati al livello dei partitini ed alcuni risultati elettorali avevano segnalato un partito in affanno, privo di idee e di forza trainante (valga, come esempio, il risultato alle regionali del 2014 in una regione “simbolo” della sinistra: l’Emilia Romagna, con una perdita secca di oltre 300.000 voti, più del 40% in meno rispetto alle precedenti elezioni). Nel tempo, poi, i sondaggi hanno evidenziato una scarsa adesione dei giovani al partito nel quale, invece, cresceva il potere degli uomini di un apparato autoreferente, privo di coraggio e fantasia. Infine, i giochi di potere, con la ricerca di alleanze sempre più discutibili, che hanno finito per oscurare i valori e gli ideali intorno ai quali il PD era nato ed ai quali quei dirigenti dicevano di ispirarsi.

Chi non ricorda la “famosa” sfida di Fassino ai 5Stelle, datata 2009, (“Se Grillo si sente tanto forte, metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni e vedremo quanti voti prende”)? E come dimenticare le difficoltà di quel partito a trovare un’intesa minima e ragionevole al momento della scelta del Presidente della Repubblica che portò alla rielezione di Napolitano? E le forzature dello stesso Presidente della Repubblica finalizzate ad una riforma costituzionale, mai realizzata?

Furono questi fattori ad offrire le prime indicazioni sullo stato di un partito in disfacimento, nel quale i gruppi dirigenti “divisi per bande” (avrebbe detto Berlinguer) restavano insieme solo per organizzare la gestione del potere che, ancora, riuscivano a spartirsi, coerentemente alla loro vocazione primaria.

Infine, la crisi economica mondiale, mal gestita dal governo di centro-destra, aggravò la situazione facendo esplodere il malcontento popolare in una misura molto più forte di quanto qualsiasi analista avrebbe potuto immaginare.

Il fallimento del governo Berlusconi costrinse il PD a farsi carico del risanamento del Paese, affidandosi alle scelte dei “professori e dei banchieri” che avevano come unico obiettivo la difesa del capitalismo ritenuto essenziale alla tutela dell’occupazione e dello sviluppo.

Allora sembrarono (e furono presentate all’opinione pubblica) come decisioni inevitabili per fermare il “default” dell’Italia, come stava avvenendo nella vicina Grecia!  Quelle, però, furono le scelte più invise agli italiani (la riforma delle pensioni, il blocco degli stipendi, il salvataggio delle banche e l’inasprimento fiscale) e divennero il “biglietto da visita” del partito democratico (il maggior azionista del governo Monti e di quelli guidati successivamente da esponenti del P.D.).

Da quel momento, cominciò ad insinuarsi nella mente e nel cuore degli italiani un sentimento che, a posteriori, possiamo definire di “odio e rancore” verso la classe politica che guidava il Paese. Un sentimento alimentato e rafforzato dal convincimento che “tagli, sacrifici e riformeerano destinati solo alla maggioranza “debole” degli italiani: mentre non toccavano nessuno dei privilegi della politica, non ne riducevano le “capacità corruttive”, né limitavano la vocazione al profitto dei capitalisti e dei politici che vedevano crescere le loro ricchezze personali in danno della maggioranza dei cittadini.

Di fatto, quelle scelte di politica economica portarono all’impoverimento della classe media del paese (che scoprì l’“evanescenza” del benessere conquistato negli anni dello sviluppo economico) ed aggravò il distacco tra la parte ricca del Paese (quell’1% che deteneva oltre il 50% della ricchezza) ed il resto d’Italia! A nulla servirono le spiegazioni dei professori e dei tecnici: gli italiani cominciarono a credere nella necessità di opporsi al crescente pauperismo ed all’inaccettabile limitazione dei bisogni, cresciuti per effetto del consumismo ormai dominante nelle consuetudini degli italiani.

Su questi temi e rispetto a queste scelte la responsabilità del fallimento del Partito Democratico, oltre che alla Sinistra, può attribuirsi, parimenti, a quella parte del Partito che diceva di richiamarsi ai valori del Cattolicesimo Democratico.

Che fine avevano fatto la solidarietà e la sussidiarietà che stavano alla base del personalismo cattolico? Quali leggi e quali provvedimenti, adottati dai governi del rigore, potevano dirsi ispirati a quei valori? E dove era finito lo “spirito di servizio” a favore del Bene Comune che aveva ispirato la definizione di Paolo VI “la Politica è il più alto esempio di Carità”?

Nemmeno la comparsa sulla scena mondiale di una figura rivoluzionaria, come Papa Francesco, servì a “risvegliare” la coscienza etica e sociale dei cattolici che, fino ad allora, erano impegnati in politica nelle fila del partito democratico. Eppure, nella sua Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, Egli aveva ribadito l’insegnamento chiave della Dottrina Sociale: “Una fede autentica implica un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra…”, fino a chiedere la crescita “…di politici capaci di entrare in un autentico dialogo …. che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri ”.

Quanti richiami andati a vuoto, inascoltati da quei dirigenti che pur dicevano di ispirarsi agli insegnamenti del cattolicesimo sociale, i quali si dedicarono ad altro, rispetto alle indicazioni di Papa Bergoglio: uomini politici sempre più preoccupati di occupare spazi di potere anziché impegnarsi ad avviare processi di cambiamento della società (contra, E.G.:“il tempo è superiore allo spazio”); che si qualificavano per la loro capacità di innescare conflitti sacrificando l’unità dell’impegno politico e sociale (contra, E.G.: “l’unità prevale sui conflitti”); che operavano scelte a favore della parte economicamente più forte in danno dei poveri e degli esclusi (quelli che il Papa definiva “lo scarto” della società, dopo aver indicato, proprio ai politici cattolici, il metodo per realizzare l’armonia sociale “il modello non è la sfera…ma il poliedro che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità”, sicché “l’azione politica deve raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro potenzialità…”! cfr E.G.: L’inclusione sociale dei poveri).

Idee, proposte e suggerimenti che sono rimaste lettera morta nella prassi politica e nelle scelte di governo.

Così come nessun risultato ebbero i continui richiami del Santo Padre contro la corruzione dilagante nel mondo politico:“La corruzione come bestemmia… il cancro che logora le nostre vite….che è all’origine dell’uomo sull’uomo…del degrado e del mancato sviluppo…ed anche dell’incuria e dell’assenza di servizi alle persone”!

Chi non ricorda il grido di allarme lanciato in occasione della celebrazione di una S. Messa per la Quaresima del 2014, organizzata per il ricevimento di una folta delegazione di esponenti del mondo politico di ispirazione cattolica: “No alla corruzione, agli interessi di partito, ai dottori del dovere e ai sepolcri imbiancati”!!

Moniti inascoltati, preoccupazioni lasciate cadere nel vuoto, insegnamenti rimasti “appesi” nelle coscienze di quella classe dirigente di ispirazione cattolica, come i panni sporchi appena passati in lavatrice e messi ad asciugare al sole dell’indifferenza e, di nuovo, indossati ed utilizzati, malgrado le macchie, come vestiti “preferiti” dai politici che, ormai, non potevano più farne a meno!

In quegli stessi giorni, quelle parole, quei moniti e quelle preoccupazioni lasciavano il segno nel cuore e nella mente dei cittadini, di qualunque fede religiosa, sempre più vicini al pensiero del Papa e sempre più lontani dalle brutte abitudini dei politici le cui malefatte venivano scoperte e sanzionate dalla Magistratura.  

Ecco perché i risultati elettorali del 4 marzo hanno stupito solo le persone che erano state meno attente a tutto quello che sul piano culturale, sociale ed economico era successo in Italia!