L’Antidoto
Antoine de Saint-Exupery aristocratico Lionese con la passione per l’aviazione e col “desiderio di sfidare la morte”, giornalista, inviato dell’Intransigeant (che era diventato un giornale di estrema destra) in Catalogna durante la guerra civile, sostenitore di Petain (governo di Vichy), pubblica “il Piccolo Principe” in America nel 1943.
“Il Piccolo Principe” è un potente “antidoto borghese” contro le nefandezze della prima metà del secolo scorso.
Un antidoto molto valido anche adesso contro la rozzezza incosciente della gran parte delle “destre” europee ed occidentali.
Come ogni farmaco va però somministrato nei tempi e nelle dosi giuste e tenendo conto delle condizioni del “paziente”. La somministrazione errata provoca degli effetti collaterali che possono essere anche seri.
Una cura per questi effetti collaterali, un antidoto dell’antidoto, efficace perché proviene da un “ambito culturale” simile, è questo breve intervento di Carlo Fruttero (2005 tuttolibri):
E’ inutile, non riesco proprio a farmelo piacere, questo Piccolo Principe. Già quando lo lessi la prima volta dopo Vol de nuit, fu una delusione. Ma allora ero giovane e tagliente, non avevo pazienza con le fiabette lacrimevoli (detesto H.C. Andersen, se mi è permesso precisare, per esempio). A rileggerlo ora provo lo stesso fastidio. L’ometto è francamente insopportabile. E’ triste, piagnucola, ha rimorsi e rimpianti, e alla fine trova pure modo di farsi suicidare da un serpente velenoso.
Dice: ma è una fiaba sapienziale. Ma tutta questa sapienza si riduce al concetto che i bambini sono migliori dei grandi, vedono l’invisibile, accettano tranquillamente i miracoli e trovano assurdo e ridicolo il mondo di noi adulti. Capirai che scoperta, che sferzante lezioncina.
Pinocchio, Alice, Peter Pan, battevano sullo stesso tasto con ben altra leggerezza, senza continue sottolineature, e con ben altra allegria. Ma qui trattasi – dice – di scrittore malinconico e pensoso, con problemi esistenziali trasposti poeticamente nelle peregrinazioni della piccola creatura piovuta dalle stelle. Poeticamente? Be’, sì, se volete. Nel senso che ci sono tutti i «pezzi» considerati per tradizione automaticamente «poetici»: le stelle, il deserto, la rosa (una cretina), le spine della medesima, i capelli color del grano, la solitudine, il distacco dalle cose amate, la morte.
Anche Petrarca, anche Baudelaire maneggiano gli stessi materiali; ma Saintex, come lo chiamavano i suoi amici del milieu letterario parigino, suona alle mie dure orecchie come un manipolatore di surrogati, echi, logore verità, luoghi comuni degradati a canzonette. Non c’è malafede, ma di peggio: un ammicco compiaciuto alla parte più facile della sua vocazione.
Ci vedo il discount, nel suo Piccolo Principe. Milioni e milioni di barattoli di melassa disponibili negli anni per l’acquirente che vuole sentirsi quel lirico saporino in bocca, con poca spesa. E se sono uno dei tanti callosi adulti che non capiscono niente, peggio per me, mi rassegno.
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