Testimoni

Pasquale, un saluto

O Dio,
tu hai donato al nostro fratello Pasquale
una parola coraggiosa,
sapiente e unitiva
e gli hai chiesto di ricordare
ai maestri e ai governanti della nostra terra
che il vero potere è il servizio,
concedi anche a noi la grazia
di essere liberi e franchi
come lui al servizio del vangelo,
non confidando in altri che in Cristo,
che vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito santo,
un solo Dio, ora e sempre. Amen.

Nel decimo anniversario pubblichiamo uno degli ultimi interventi di Pasquale Pirone ed un estratto dei contributi che “uscirono” in quei giorni su rete3.net.

 

Fratture e trasparenze

Ci sono eventi nella vita che te la spaccano in due, in un prima e in un dopo, che si continuano e a volte somigliano, ma non hanno più lo stesso senso e sapore. A volte è una gioia pura a segnare il passaggio: il sì della brunetta che ami su di una panchina d’inverno. A volte, e più spesso, è un dolore straziante: la morte di un padre o di un maestro, il rammarico di una carezza e di una parola non data per tempo e che mai più si potrà pronunciare. E’ il singo, il “segno marcato a terra” con la calce o il tallone, dell’esperienza di un terremoto. Il pugno di terra gettato sulla cassa di Jean, che hai visto ridere felice d’amore e di giovinezza e hai appena portato in spalla piangendo . La linea di frattura è però a volte così tagliente da non consentirti neppure di accostare i margini. E’ il risvegliarsi in una sala di rianimazione, unico cosciente tra una decina di corpi , e non sapere se è un incubo, e non sapere il perché. E’ riepilogare in un attimo la vita e chiedersi veloci se dover salutare o sperare in un poi. Pensare ai bambini, all’amore della tua vita, al panico di doverli lasciare senza nemmeno salutarli, senza riuscire più né a proteggerli né ad accompagnare. E capire che sei vivo e, forse, c’è ancora futuro quando immagini che se Dante avesse dovuto plasmare oggi uno spazio senza tempo, un purgatorio sospeso tra gli uomini e Dio, avrebbe certo immaginato proprio quella gran teca azzurra: senza luce naturale, senza lancette, dove i curanti si muovono felpati, come sfumando, e i sospesi non hanno nulla che marchi lo scorrere della vita, che abbia un colore, o un passaggio di luce. Supplichi allora di andar via di là, ovunque, altrove. Lontano.
Umberto, il compagno di stanza della resurrezione, in un reparto finalmente normale, con una finestra vera, la luce e la pioggia che scorra sui vetri, è un angelo di 80 anni che sorride e stringe la mano a Rosa, la compagna di sempre, cui si attacca come un bambino alla madre. Ha fatto il calzolaio per una vita e all’inizio mi fa fatica capirlo, per il dialetto stretto che usa e per l’ictus che gli ha compromesso la dizione. Ma ci intendiamo di sguardi ed è come se ci conoscessimo da sempre. Tornato tra gli uomini (continuo a parlare a chi mi visita di un “giù”, ma non sono mai stato spostato di piano), il mio letto è ridiventato un porto di mare. Come tutta la mia vita finora, d’altronde. E’ la settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani e trovo perfino il tempo di indignarmi perchè nessuno ha avuto la gentilezza di avvisare né me, né alcuno della Comunità, della giornata organizzata a Prata. Se mi arrabbio, però, è allora proprio vero che son vivo, penso. Davanti a me c’è fra’ Rocco, il mio nuovo amico. C’è il pastore Squitieri e sua moglie Raffaella, metodisti e fratelli di speranza e di fede. E a sorridermi a fianco c’è Hazem, l’amico mio solofrano di Aleppo, musulmano di nascita e cultura, ma laico e cuore grande. La settimana la stiamo celebrando lì, per dono della Provvidenza, sopra e meglio di ogni rito e mascherata. C’è un affetto e una gioia che si può spalmare a mani piene. Penso al Salmo “Come è bello che i fratelli…”
Il perchè del dolore, l’interrogarsi sul limite non mi sono nuovi. Sono domande che, senza angoscia, ma chiare, mi accompagnano da sempre. E la domanda di fede che porto con me fa parte di quest’orizzonte. Chi mi conosce sa che non amo definirmi un “credente”. “Credere” mi sa di certezza, di una verità data come ormai irrigidita e acquisita. Amo riconoscermi piuttosto nella categoria di “sperante”, di un pellegrino che armato solo della fiducia che si può provare nell’abbraccio di una madre, scommette in una prospettiva di senso. Credo nel Dio fragile di Bonhoeffeur, in quello che provoca Giobbe senza mai offrirgli una risposta finale, nell’uomo di Galilea che si offre come fratello e che da vivo non trionfa mai, ma accompagna e sollecita. In mezzo c’è stata la grande paura, ma non è non è il caso di cambiare prospettiva. Anzi.
“Ogni giorno nel nostro cuore un credente e un non credente si interrogano a vicenda. Guai se uno di loro tacitasse l’altro”, c’è scritto sul frontespizio della mia agenda. E’ una citazione di Martini. La condivido ogni giorno di più, con convinzione più grande.
Pasquale. Addio a un grande amico di Nando dalla Chiesa
Pasquale Pirone, così più giovane di me…Da ieri i suoi occhi non si riapriranno più. Fummo insieme nella Rete, in Italia democratica, poi nella Scuola di formazione politica “Antonino Caponnetto”. Soprattutto siamo stati amici veri, con lui e la sua splendida moglie Daniela. Lasciate che gli dedichi qualche riga, in fin dei conti questo è un blog speciale, pensato per gli amici e non per fare dibattiti o polemiche pubbliche.
Pasquale è stato un vero intellettuale, con alcune caratteristiche particolari. Era cattolico, e questo lo portava a confrontarsi continuamente con il rapporto fede-politica-impegno pubblico, un tema che lo tormentava non avendo egli particolare stima dei politici “cattolici” della sua città, Avellino. Era, appunto, meridionale, e questo lo spingeva a interrogarsi in modo pressante sui percorsi di rigenerazione possibili per la sua terra. In più era un educatore, un grande educatore, tanto che viveva di ripetizioni private, cercato dalle famiglie non solo per le sue competenze disciplinari ma per la sua capacità di motivare gli adolescenti alle fatiche dello studio.
Ho avuto la notizia da una nostra cara blogghista ieri, appena finito il dibattito a San Pellegrino alla festa della Tavola per la Pace della Val Brembana. Sono rimasto senza parole, e forse per la prima volta nella vita non trovavo nella folla nessuno con cui parlare di quel che era accaduto. “Sto bene, grazie, all’università tutto bene, domani inizio il corso”, “Sì, è stato un bel dibattito”, “L’assemblea a Bergamo è andata bene”, e pensavo ad altro e non sapevo a chi dirlo. Si scoprono sempre nuove solitudini. A Pasquale dobbiamo molto. A Daniela (e ai loro ragazzi) dobbiamo un abbraccio che non finisca nel tempo.
Sentinella, perché … ? di Roberto Bertoli
Pasquale si rivolgeva a te fin dalla prima pagina del suo Blog e ti chiedeva, con insistenza: “Sentinella, a che punto è la notte?”.
L’attesa che diventava, ogni giorno, più pesante (tu lo sai) era per veder diradare le tenebre e per gioire di un altro giorno.
Se anche sapevamo che non sarebbe stato così, sempre pensavamo che un giorno, stanchi del lavoro fatto assieme, ci saremmo potuti vedere, o telefonare, pensando che la notte “civile” (almeno quella le cui tenebre ci erano parse insopportabilmente pesanti) era dietro le nostre spalle e la giornata che era iniziata aveva con sé tutte le premesse per essere la prima di una lunga serie di giorni in cui la luce, finalmente, ci avrebbe scaldato con i suoi colori (quasi a farci dimenticare quel buio, quel grigiore e quel pesante silenzio della lunga notte passata).

 

Pasquale. Addio a un grande amico

di Nando dalla Chiesa

Pasquale Pirone, così più giovane di me…Da ieri i suoi occhi non si riapriranno più. Fummo insieme nella Rete, in Italia democratica, poi nella Scuola di formazione politica “Antonino Caponnetto”. Soprattutto siamo stati amici veri, con lui e la sua splendida moglie Daniela. Lasciate che gli dedichi qualche riga, in fin dei conti questo è un blog speciale, pensato per gli amici e non per fare dibattiti o polemiche pubbliche. Pasquale è stato un vero intellettuale, con alcune caratteristiche particolari. Era cattolico, e questo lo portava a confrontarsi continuamente con il rapporto fede-politica-impegno pubblico, un tema che lo tormentava non avendo egli particolare stima dei politici “cattolici” della sua città, Avellino. Era, appunto, meridionale, e questo lo spingeva a interrogarsi in modo pressante sui percorsi di rigenerazione possibili per la sua terra. In più era un educatore, un grande educatore, tanto che viveva di ripetizioni private, cercato dalle famiglie non solo per le sue competenze disciplinari ma per la sua capacità di motivare gli adolescenti alle fatiche dello studio. Ho avuto la notizia da una nostra cara blogghista ieri, appena finito il dibattito a San Pellegrino alla festa della Tavola per la Pace della Val Brembana. Sono rimasto senza parole, e forse per la prima volta nella vita non trovavo nella folla nessuno con cui parlare di quel che era accaduto. “Sto bene, grazie, all’università tutto bene, domani inizio il corso”, “Sì, è stato un bel dibattito”, “L’assemblea a Bergamo è andata bene”, e pensavo ad altro e non sapevo a chi dirlo. Si scoprono sempre nuove solitudini. A Pasquale dobbiamo molto. A Daniela (e ai loro ragazzi) dobbiamo un abbraccio che non finisca nel tempo.

 

Sentinella, perché?

di Roberte Bertoli

Perché hai fatto finta di niente? Perché hai lasciato senza risposta la domanda di Pasquale?
Perché l’unica risposta tua è stata quella di spegnere la luce, anche quella “di sicurezza”?
Non ti sei accontentata di affievolirgli quel “senso critico” senza il quale aveva timore di non sapersi riconoscere?
La tua, confessalo, o Sentinella; è stata paura. E’ stata la vendetta sordida di chi non ha tollerato di sentirsi interrogata, irrisa, da chi pure tu consideravi “avvertito” che avresti attuato i tuoi piani.
Ti ha forse dato noia l’esser stata costretta a leggere (sono certo con rabbia) quei dolci inni alla vita composti in una carrozza ferroviaria, o nella corsia di una Clinica, da chi voleva lasciar traccia della gioia di vivere sua e di altri Uomini e Donne.
Eravamo, e siamo, in tanti oltre la cerchia stretta di Daniela, di Stefano a di Brunella a sentirsi “scippati”, ma –tu lo sai, Sentinella maledetta- che stavolta non ce l’hai fatta a non lasciargli il tempo per pensare a loro, per far intendere (fin solo con la dolcezza dello sguardo, in un attimo) quanto gli dispiacesse dover assecondare i tuoi voleri.
E, ora, siamo a chiedersi: “Perché, Sentinella?”.
Lo riconosciamo: non abbiamo la forza di prenderti per il culo (come ha fatto Pasquale), ma sappi che ci risveglieremo e continueremo ad operare perché la notte sia solo lo spazio del riposo e perché i colori tornino a splendere.

 

Al mio Amico

di Maria Grimaldi

Avessi potuto smontare e rimontare la realtà intera come un particolare “Lego”, molto ti sarebbe piaciuto. Hai continuato a farlo anche quando la giostra sferragliava. “In automatico”, come dicevi tu. Cercando determinazione e desiderio in un pomeriggio di sole, l’angolo raccontante di una pietra, la vetrata scintillante di un museo, l’attesa di un amico, una fossetta su una faccia bambina, gli occhi grandi e delicati di tuo figlio, la scia dei capelli della tua compagna di sempre. Dovessi “fermarti” in una fotografia, sarebbe quella di te che cammini, jeans, maglione, camicia celeste e giaccone blu, con la tua borsa pesante di carte e passo affannato e spedito, in qualche necessaria direzione. E’ un fermo immagine, stranamente consapevole, della memoria: ti ho visto veramente così – un giorno – da un finestrino. Non so perché, fermai il giro dei miei pensieri, dicendomi silenziosamente: “Ecco. Lui è così”. Stavamo facendo la stessa cosa, in due maniere diverse, quella mattina. Come è stato sempre dopo cinque minuti che ci siamo conosciuti: abbiamo “preso le misure”e irrevocabilmente abbiamo deciso che ci saremmo fidati l’uno dell’altra. Del pensiero e della maniera di sentire. Al di là di ogni litigio, al di là di ogni distanza. Tanto affetto e vicinanza in quel tuo ironico ”Signora” con il punto interrogativo, che mi arrivava, di giorno e di notte, ovunque io stessi. Vorrei conservare, insieme al resto, particolarmente, quella “spinta” che ti davi camminando.Nella mia imperfetta maniera, tenterò. Da sola e a braccetto con Daniela. Guardando anche con i tuoi occhi l’assurdo e la Bellezza. Una finestra rotta, una finestra schiusa. La “notte” e, forzandola, un Inizio, ancora… e “quei due” che crescono.

 

Game over ? ovvero Discorso su Pasquale, sul Tempo e sul Kàiros

di Massimo De Vinco

Pasquale amava la vita, la sua Daniela ed i suoi figli, Stefano e Brunella.
Pasquale amava raccontare le storie, mentre tesseva la sua Storia.
Pasquale amava gli Antichi e, come loro, sapeva che il Tempo è Chrònos, ritmico, cronologico, misurabile, ma anche Kàiros, misterioso, intimistico, scandito dagli eventi e dagli avvenimenti – talvolta ritenuti insignificanti – di una vita. Un istante/kàiros può essere eterno, contrariamente ad un istante/chrònos.
Secondo «chrònos», dunque, Pasquale ci ha lasciato il 21 di settembre, pochi minuti prima delle 13,00, ma secondo «kàiros» (e secondo me) Pasquale è morto il 19 di gennaio, alle 23,45, su un lettino radiologico, dopo una TAC che ne sentenziava (impietosamente e definitivamente) l’incurabile «male».
Pasquale amava definirsi un “credente sperante”.
Aveva capito che la Speranza era apprendere il Mistero che esiste nel kàiros, a sua volta alimentato dallo Spirito. E Pasquale era convinto (come me) che lo Spirito è «il vento che soffia dove vuole e tu ne odi il suono, ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8).
Credo che Pasquale sia stato in frequente sintonia con lo Spirito, condizione privilegiata che gli permetteva di riconoscere ed assaporare i segni, gli istanti/kàiros, che incontrava sul suo cammino: i cosiddetti nodi di impressione.
Pasquale è stato sempre consapevole di ciò che essi rappresentavano per la sua Storia Personale, innanzitutto, ma anche del fatto che la sua stessa Storia (come quella di ognuno …) avrebbe potuto essere, a sua volta, nodo d’impressione per le Storie dei tanti altri con cui veniva quotidianamente in contatto. E Pasquale sapeva anche che questi nodi di impressione non sono sempre immediatamente “riconosciuti” o “riconoscibili” da tutti.
Perciò amava educare insegnando, cosa non sono sempre nè scontata, nè consequenziale. E lo faceva con Amore, Passione e con la sua tipica (e spesso focosa …) tenacia, rigorosamente però orientata all’ascolto, all’attenzione ed all’accoglienza, virtù cristalline ed innate del suo animo, privilegio di pochi.
Pasquale era un instancabile Tessitore.
Ed ha usato i fili del suo sapere e del suo animo per creare quella fittissima rete di relazioni ‑ e di nodi ‑ che hanno costituito l’essenza della sua Storia Personale, «kàiros» (forse ancora misconosciuto) per molti altri. I nodi di impressione risiedono nell’inconscio cognitivo, nella psiche di ognuno. Ne costituiscono l’intrinseco Senso. Sta ad ognuno “scoprirli” ……..
Pasquale, dunque, è stato e sarà Seme per chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo e per chiunque ne (ri)scoprirà, ricordandosene, i vari aspetti che ne hanno caratterizzato la vita.
Pasquale, infine, è stato mio amico e nodo di impressione nel mio Cammino.
Di lui mi mancheranno il sorriso e, più ancora, i suoi occhi chiari. Mi mancherà, per sempre, quello sguardo d’intesa che rendeva superflue le parole.
Quello stesso sguardo interrogativo che ho incrociato, per l’ultima volta, il primo giorno successivo a quelli da lui trascorsi in rianimazione ed in cui lui ha visto la mia disperazione e che da allora, vigliaccamente, non ho più avuto il coraggio di sostenere, essendoci già «detti» tutto.
Il mio tragico, personalissimo ed eterno «kàiros».
Ciao Pasquale, amico mio.

 

TRE COSE RESTANO (lo Sperante, chi e cosa rimane, lectio humana atque divina)

di Fabio Grassi

Uno si definisce sperante. È una citazione. Per quelli che si ricordano qualcosa di antichi catechismi, la citazione afferisce ai cataloghi delle virtù, all’elenco delle teologali. Chi ha voluto saper in più su chi siamo e da dove veniamo, e ricorda San Paolo, sa che è un rimando al capitolo 13 della I lettera ai Corinzi.

Sia nell’uno che nell’altro caso la maggioranza dei primi e dei secondi conterebbe: Fede, Speranza, Carità.

Ma chi si è definito sperante, tralasciando l’infanzia dei catechismi, per amore del greco e del testo materiale con cui il brano paolino ci è pervenuto, ci corregge con una diversa traduzione dell’ultima virtù, dell’ultima cosa che ci resta, per San Paolo, delle tre cose finali. Lo fa non per il campo semantico che in genere si attribuisce alla parola carità, ma, dice, lì Paolo ha usato la parola che ancora oggi un ragazzo greco innamorato usa per colloquiare con chi vuol bene.

La domanda dello sperante è: “Tu diresti, da innamorato, sei la mia carità?” No, non lo direi, userei come il ragazzo greco e San Paolo, dunque dovrei dire amore.

Uno si definisce sperante anche perché il credente è divenuta una categoria dello spirito pericolosa. Non importa a cosa o chi si crede, il problema è il tuo rapporto con chi non crede come te, e la storia, ci dice lo sperante, è un vasto, doloroso cimitero provocato dai credenti d’ogni risma. Poi lo sperante ci fa sapere che credente è una parola anch’essa figlia di errore: sta scritto fede, ci si dovrebbe definire, meno pomposamente, fiduciosi. È una bella differenza dirsi credenti e non fiduciosi. Si ha fede e dunque non certezza, ci si affida. Le progressione paolina è chiara: se hai fede in qualcuno ci speri.

Lo sperante è uno che sa che non si è perfetti, uno se si sentisse tale direbbe: “sono amante”, perché come dice Platone, solo l’amante è al colmo del dio. E così la pensa anche San Paolo. Ma lui, lo sperante, ha torto su di sé.

Pasquale hai torto. È sempre stata una soddisfazione dirti con certezza che hai torto, essendo tu maniacalmente e irritantemente preciso, ma stavolta non mi sento contento nel dirtelo. Chissà perché non mi vuoi sentire, come se il tuo morire fosse una bella scusa. Tu all’imperfetta perfezione cui si può giungere, senza mai giungervi, in qualche modo ci sei arrivato. Eri, sei amante e non sperante. Dal cibo al libro, dalla famiglia agli amici, dalla chiesa al mondo, alla politica. La fame di vita e di incontro è più che sperare. Siccome non sei modesto, almeno non nel senso sciocco che si dà in genere a questa parola, hai aspettato furbo che te lo dicessi io?

Va bene, però con te non ci parlo più. Parlo con chi resta. Chi resta può leggere San Paolo:

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi amore, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi amore, a nulla mi servirebbe. L’amore è magnanimo, benevolo è l’amore; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L’amore non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.

Tu che hai appena letto, chiunque tu sia, cattolico o ateo, religioso o apostata di mille fedi, agnostico o mistico, prendi atto che il credente non conosce appieno perché nessuno conosce appieno, se non in uno specchio distorto, se non come un bambino che non cresce, sappi che bisogna resistere avendo fiducia, sperando, appunto, e dunque amando nell’incertezza della nostra imperfezione …perché quale amante è sicuro, pur essendo al colmo del dio?

E a chi resta, a noi che restiamo, cosa rimane? Rimane il motivo vero del nostro incontro con lo sperante, la verità della sua militanza e cioè:

dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e l’amore. Ma la più grande di tutte è l’amore!



Pasquale Pirone ci ha lasciato. Troppo presto.

di Marika Borrelli su OrticaLab

Non si chiedeva se avesse un senso, ma solo se lui sarebbe riuscito a risolvere un’altra spiazzante equazione: la vita e la morte come un’altra forma di vita e non come il fischio finale dell’arbitro
Io lo conoscevo Pasquale. Dai tempi del Liceo Colletta. Coetanei, amico di tanti amici comuni. Ragazzo discreto, ma tenace, in adolescenza. Uomo impegnato, socievole e ottimista nella maturità.
Eppure, non so vedere e ricordare Pasquale se non nell’aspetto adolescenziale. Perché era allora che pullulavano le speranze. Anni e anni dopo, nonostante i segni del tempo che ci sono piovuti addosso, nei nostri amici di allora ho visto, abbiamo visto, vogliamo vedere solo quello che eravamo. Ognuno era una strada nuova, un percorso di raccolta e di restituzione elaborata.
Pasquale tanto aveva raccolto in cultura e riflessione e ancor di più ha dato alla nostra comunità.
Il suo impegno era instancabile e — ammetto — lo sfottevo sempre per la sua tenacia. Aveva i suoi innamoramenti: La Rete qualche anno fa, negli ultimi tempi impazziva (quasi) per Civati e voleva farlo arrivare in Città.
Conosceva le mie idee politiche e non perdeva occasione per suggerirmi “Dài, Civati può essere la soluzione.” E noi amici giù a sfotterlo: “Eh, tu e ’sto Civati… viri ca nun cia po’ ffa!’”
Il suo obiettivo era la conciliazione tra politica ed etica, in particolare l’etica cristiana, quella dell’incontro, dell’abbraccio circolare con tutti gli uomini.
A maggio dell’anno scorso, organizzò un forum al Circolo della Stampa, una semplice, tuttavia profonda ed efficace riflessione assieme a Padre Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica alla Pontificia Università Gregoriana.
Padre D’Ambrosio (un barese spiritoso e alla mano) spiegò senza mezzi termini che il degrado della politica è unicamente morale, dovuto alla sparizione delle due grandi scuole che insegnavano organizzazione e trasmettevano una qualche etica solidaristica: l’Azione Cattolica e la Scuola del PCI (Frattocchie, Emilia Romagna).
Non importano le etichette destra-sinistra-centro e sfumature varie: il principio è sempre quello di avere un’etica (che riguarda il comportamento, mentre la morale è il patrimonio di valori) irreprensibile, cattolica o laica che sia. L’importante è il bene della collettività di riferimento.
Questo era anche il cruccio di Pasquale, ma a differenza di altri, lui continuava — come Diogene — a cercare una risposta, ovvero una forma di teoria unificata dell’uomo che comprendesse l’agire etico e l’accoglienza, la pratica politica per il benessere di tutti e la fede cattolica.
Mi diceva, quando c’incontravamo ai convegni o ai congressi (come l’ultimo dell’ANPI, per esempio): “Lo so, lo so, tu non ritieni sia possibile credere e fare politica, e per di più politica di sinistra.” Aveva preso questa apparente inconciliabilità come un’equazione complessa, tuttavia prima o poi risolvibile.
Provò a risolvere la crasi che si era aperta alle prese con la sua malattia e ne parlò nel suo blog . Scriveva che gli toccava di giocare ancora la partita della vita, tempi supplementari compresi. Provava a concentrarsi sul presente, sui compagni di viaggio.
Pasquale era dotato di rara sensibilità e di una scrittura delicata, tuttavia profonda.
Scrisse una volta che doveva provarsi, doveva capire se tutto quello in cui aveva creduto fino ad allora avrebbe potuto sorreggerlo ancora, durante l’ultima terribile prova. Non si chiedeva se avesse un senso, ma solo se lui sarebbe riuscito a risolvere un’altra spiazzante equazione: la vita e la morte come un’altra forma di vita e non come il fischio finale dell’arbitro.