Un nuovo modello di Partito
Continua la pubblicazione de “Il Dono“: capitolo VII
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Per tutte queste ragioni, probabilmente, non serve un nuovo congresso del Partito Democratico; non serve, solo, un nuovo leader ed una nuova classe dirigente: quello che serve è un nuovo modello di partito che sappia inventare nuove forme di partecipazione e sia capace di utilizzare nuovi strumenti per la determinazione delle scelte e delle politiche, sia a livello locale che nazionale.
In verità, lo schema del partito di massa (organizzato sulla iscrizione, sui pacchetti di tessere ed in ultimo sui circoli, una volta sezioni) appare superato dai tempi e dagli strumenti che le nuove tecnologie possono mettere a disposizione di chi sia in grado di gestirli e di utilizzarli al meglio.
Confesso di non essere un esperto dei nuovi media: uso facebook, whatsapp, twitter e linkedin solo per gestire piccoli rapporti inter-personali, avendo ben chiara, però, la velocità, l’immediatezza e la comodità dell’utilizzo di questi mezzi.
Tuttavia, sono consapevole della straordinaria diffusione di questi strumenti di comunicazione, della loro peculiare efficacia e, soprattutto, delle enormi possibilità “espansive”. Sicché immagino che calcolare il loro sviluppo, in chiave politica ed in termini esponenziali, nei prossimi anni, sia un esercizio non facile.
Mi pongo, perciò, una domanda: qualcuno crede che tra 3 o 4 anni sarà più facile, per una forza politica, organizzare un’assemblea di circolo per scegliere un segretario o un portavoce o non sarà assolutamente più semplice utilizzare, per gli stessi scopi, uno degli strumenti alternativi offerti dai nuovi media? Ed ancora: ove un gruppo o un movimento politico (mi riferisco, ovviamente, alla classe dirigente) volesse comunicare agli iscritti, ai simpatizzanti o a tutti i cittadini, una decisione o una scelta di carattere amministrativo, quale sarà lo strumento più efficace: il manifesto da apporre sulle mura della città, un’intervista televisiva, più o meno pilotata, o, infine una comunicazione-dichiarazione trasmessa con l’utilizzo dei nuovi media, con un moltiplicatore di diffusione del quale sono ancora sconosciute le potenzialità?
Orbene, se tutto questo che può apparire come “futuro” è già il “presente” vivo e dinamico della società, un partito politico che voglia avere l’ambizione di guidarlo non può restarne fuori, come un geloso custode di riti e liturgie del passato che non entusiasmano più nessuno e non soddisfano le aspettative della maggioranza dei cittadini.
Per questo, il nuovo partito dovrà essere “rifondato” con caratteristiche e qualità che riescano, insieme, a favorire una partecipazione diffusa dei cittadini alle decisioni politiche ed a rilanciare l’adesione a quei princìpi e valori che debbono essere alla base delle scelte concrete.
Ecco, io vorrei un partito che voglia “ascoltare” i cittadini, che riesca ad essere vicino ai loro bisogni, che sappia farsi interprete dei loro desideri e delle loro volontà e possa aiutarli nel discernimento delle scelte più giuste ed utili alla comunità. Un partito che abbia “il senso della prospettiva”: una forza politica, cioè, che sappia guardare lontano, nelle scelte di governo, e che sappia farsi carico del futuro del Paese e non si lasci dettare le decisioni dalle esigenze immediate delle forze dominanti in danno delle giuste aspettative delle giovani generazioni.
Inoltre, il partito nuovo, che potrebbe fermare il vento di destra che soffia, preoccupante, sulle nostre comunità, dovrà porre, tra le sue pre-condizioni, due obiettivi di primaria importanza: la questione morale e la scelta degli ultimi, dei poveri e degli esclusi.
L’onestà, per i dirigenti politici, non è altro che un elevato senso dell’etica e della correttezza, personale e civile: quella che i Costituenti descrissero nel noto articolo 54 della Costituzione, “i cittadini cui sono affidate le funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
Con una precisazione, che l’interpretazione di questo articolo sia la più rigorosa e severa possibile: così da imporre a tutti quelli che esercitano funzioni pubbliche un obbligo di rispetto delle regole di onestà e correttezza superiore rispetto a quello cui sono tenuti tutti gli altri cittadini. Perché i rappresentanti politici di fatto si candidano ad essere “testimoni” (e spesso si trasformano in “maestri”) di comportamento per tutti gli altri cittadini, proprio in relazione al ruolo pubblico che svolgono.
La scelta degli ultimi, infine, non può non essere il carattere distintivo di una forza politica che si dica di sinistra e che sia, nel contempo, ispirata ai valori della Dottrina Sociale Cattolica. Si tratta di una scelta di campo che viene prima di ogni altro progetto politico, perché ha come presupposto e fondamento la difesa della dignità delle persone e la tutela dei più deboli. Perché una comunità che non sappia occuparsi creativamente dei poveri, degli esclusi e degli emarginati è una comunità che rischia di esplodere e di auto-dissolversi per effetto delle contraddizioni sociali e delle reazioni che certe scelte politiche possono innescare.
Tuttavia, il partito che verrà, se fondato e rinnovato con questi ideali e su questi presupposti, potrà avere una speranza di successo e di sopravvivenza nella difficile situazione economico-sociale e politica, solo a condizione che vi sia una radicale e definitiva rivoluzione degli uomini che lo guideranno (la classe dirigente) e dei metodi di partecipazione politica.
Ho appena accennato alla necessità di “inventare” una nuova forma partito, qui voglio riproporre alcune delle più interessanti riflessioni di Fabrizio Barca: “Sono le idee, talora maturate endogenamente, talora portate in modo anche traumatico dall’esterno, a poter rompere l’equilibrio perverso di “elite” estrattive, non solo rinnovandole ma facendo loro “cambiare la testa”, cioè convincendole a giocare una partita che è di interesse generale” (cfr. Il Manifesto per un partito nuovo per il bon governo). Così, Barca “profetizzava” sulla necessità-opportunità di una rivoluzione che sarebbe, necessariamente, passata attraverso il cambiamento “della testa” del partito, direttamente o indirettamente.
Con questo metodo, potrebbe nascere, finalmente: 1) il partito delle conoscenze; 2) il partito del confronto, della dialettica e del dibattito; 3) il partito aperto; 4) il partito palestra di formazione e di partecipazione.
Ho consapevolmente tratto dal Manifesto di Barca i punti essenziali del nuovo modello partito: ovviamente sintetizzati secondo le mie modeste capacità, perché ritengo che le buone idee e le soluzioni più efficaci meritano attenzione ed interesse quando sono finalizzate al bene di tutti.
Cominciamo dal partito “aperto”: è del tutto evidente che la crisi del PD trova la sua causa primaria nell’auto-referenzialità della sua classe dirigente. La convinzione che il popolo debba essere educato e formato nelle scelte da fare resta il retaggio di una società in gran parte ignorante e sottoposta, nella quale la funzione delle “élite” era quella di aiutare le classi deboli e sfruttate ad emanciparsi ed a liberarsi dalla schiavitù. Un progetto ed un’idea nobile, finalizzata alla creazione di una società più giusta, se quel processo di emancipazione e di crescita culturale e sociale non fosse stato, in seguito, guidato da quei soggetti che, nella società globalizzata, hanno assunto il predominio sulle scelte degli Stati. Sicché, nello stesso momento in cui potrebbe dirsi soddisfatto il bisogno di alfabetizzazione primaria dei cittadini (quasi tutti sono in grado di leggere e scrivere e sono convinti di poter decidere con la propria testa) rileviamo che il sistema economico ha imposto nuove regole e nuovi bisogni che hanno portato una moltitudine di persone in una condizione di “asservimento” e di “schiavitù” sociale ed economica (vuoi per la mancanza di lavoro, vuoi, per l’impossibilità di soddisfare i bisogni, vuoi, infine, per le difficoltà esistenziali che hanno minato, fino a distruggerle, antiche certezze o antichi valori: la famiglia, la dignità, l’onestà, la fede, i rapporti interpersonali… etc).
In questa situazione, è evidente, quelli che pagano il tributo più gravoso sono i soggetti più deboli: i giovani, i poveri, gli emarginati, gli esclusi. Questi costituiscono la bomba sociale più pericolosa e potenzialmente dannosa della nostra società: quella che può innescare processi di dissoluzione che possono mettere a rischio i valori fondanti della comunità!
Quel partito aperto, perciò, dovrà offrire proprio ai soggetti più deboli la speranza in un futuro diverso rispetto al presente: dovrà invogliarli alla partecipazione, con la certezza di poter concorrere al nuovo senza che prevalgano gli egoismi di pochi in danno dei bisogni di molti; dovrà garantire la correttezza dei comportamenti di una nuova classe dirigente “a tempo” che superi la professionalizzazione della partecipazione politica. Il nuovo partito dovrà sfondare, definitivamente, quel muro di piombo che ha ostacolato ogni comunicazione e rapporto con la società, con i cittadini ed i loro problemi, che ha, di fatto, “isolato” la classe dirigente, condannandola alla sconfitta!
Il partito delle conoscenze si caratterizzerà per la capacità e la forza propositiva delle idee nella soluzione dei problemi di ogni genere. Mai più un partito di “élite” che sceglie le soluzioni più comode, nel loro stesso interesse, e le impone a tutti, provando a spiegarne la necessità e l’utilità. Mai più “vestiti preconfezionati” su suggerimento e su indicazioni di forze o poteri “estranei o esterni” alla comunità, ma scelte e decisioni ragionate e condivise che abbiano come obiettivo il rispetto della dignità delle persone e la realizzazione del bene comune!
Infine, il partito del dialogo, della discussione e del confronto che sia, insieme, momento decisivo per le scelte da adottare ed occasione di formazione e crescita delle classi dirigenti, soprattutto di quelle più giovani che hanno energie, fantasia e quella voglia di futuro che manca a quei politici che si sono distinti per l’inadeguatezza a capire e ad interpretare il nuovo.
Senza voler apparire necessariamente “cattivo” nei confronti della vecchia classe dirigente, mi chiedo: ma certi uomini politici del PD che hanno seguito per intero il “cursus honorum”, tanto da essere presenti da oltre dieci, venti o addirittura trenta anni nella dirigenza del partito, quali “novità intelligenti ed indispensabili” potrebbero, ancora, garantire alla vita della comunità che da quel partito sarà governata che, in tutto questo tempo, essi non sono stati in grado di mettere a disposizione di tutti? Non è forse più probabile che ognuno di essi finisca per pensare, solo, ai propri interessi personali anziché a quelli degli altri? E, infine, quali difficoltà potrebbero insorgere se un partito, organizzato democraticamente per consentire a tutti la massima partecipazione, possa ancora servirsi delle idee e delle soluzioni proposte da persone che abbiano maturato una certa esperienza, facendo in maniera che siano, però, i più giovani a realizzare quei progetti e quelle idee, se condivise da tutti?
Il nuovo partito, perciò, sarà arricchito anche e soprattutto dallo spirito di servizio di quei dirigenti politici che rinunzieranno ad una visione della partecipazione politica intesa come “carriera” personale e diventeranno, insieme, testimoni e maestri della “buona” politica e, se del caso, custodi e guardiani dei valori fondanti del partito nei confronti di possibili abusi e tradimenti. Solo così potrà attivarsi quel circuito virtuoso tra le buone idee, la buona prassi e la continuità e la coerenza con i princìpi che sono a fondamento di una scelta politica.
Se questi possono essere gli obiettivi del nuovo partito, bisogna interrogarsi sugli strumenti organizzativi che quel partito dovrà adottare per realizzarli nel rispetto delle regole democratiche e della libertà degli aderenti.
Ho già accennato all’importanza dei nuovi media nella struttura organizzativa del partito: eppure, il partito che verrà non dovrà trascurare la bellezza dell’incontro personale, la ricchezza della conoscenza diretta, la forza dell’amicizia tra le persone che nasce e si consolida con la frequentazione e con il dialogo costruttivo e costante.
Ed allora, ben vengano momenti di adesione-partecipazione che sappiano utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione: gruppi di discussione e/o incontri tematici in rete, così come una costante formazione e/o informazione dei simpatizzanti e degli aderenti al partito sempre con gli stessi strumenti, ed infine, l’organizzazione di un efficace strumento di partecipazione alle scelte o alle designazioni che utilizzi le nuove tecnologie, con un sistema di controlli che garantiscano il massimo di democrazia, correttezza e legalità, contro ogni possibile abuso.
L’auspicio, tuttavia, è che ogni altro strumento di partecipazione-formazione non escluda il confronto diretto: la discussione aperta e libera nei luoghi e nelle forme che dovranno presiedere alla vita del partito.
Infine, potrebbe essere utile che sia lo Stato a farsi carico di una normativa che riesca a regolamentare questa nuova forma di partecipazione politica, possibilmente estesa a tutte le forze e movimenti politici presenti nelle nostre comunità. Se ciò non fosse possibile, resta indispensabile che il nuovo partito riesca a dotarsi di regole certe, proprio sulle nuove modalità di concorso alla determinazione della volontà collettiva. Soprattutto, sia fissata una normativa inderogabile sulla “temporaneità” dell’impegno politico: perché se tutti garantiranno il proprio impegno a servizio della comunità (anche senza assumere ruoli di prestigio) i risultati non potranno mancare.